Affreschi
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Affreschi
Santa Maria del
Castello
AFFRESCHI
Un ciclo che si svolge su tre ordini con un
sistema unitario di incorniciature occupa la parete nord nella sua estensione
d'epoca medioevale. L'altezza totale è di m 4,86 e la larghezza di m 12.
La tecnica.
Le pitture sono
eseguite per la maggior parte secondo la tecnica dell'affresco; da ciò dipende
il loro stato di conservazione relativamente buono. «A secco» sono stati dati esclusivamente i toni dell'azzurro
(azzurrite), i fregi con sagome e alcune lumeggiature. Come colori base sono
stati usati ocra rossa, ocra naturale gialla (terra di Siena), rosso cinabro,
malachite, azzurrite, terra verde. Esaminando la superficie non si può
stabilire se sia stata impiegata la tradizionale tecnica della sinopia (disegno
preparatorio eseguito sull'intonaco); in ogni caso non si riscontrano qui
tecniche pittoriche più «moderne» di quelle adottate nel sec. XV (come per
esempio lo spolvero, la graffiatura, il calco, i cartoni). Nel registro di
mezzo si possono osservare facilmente le giornate (corrispondenti circa
all'esecuzione della figura di un santo), così come le sovrapposizioni dello
scialbo, a tal punto che si può seguire il procedere dell'opera. Numerosi volti
sono eseguiti secondo l'antica tecnica del «verdaggio» (pittura su fondo
verde). Le aureole rivelano contorni incisi e tracce di doratura. Le
decorazioni delle cornici e numerosi ornamenti delle vesti (senza tener conto
del panneggio) sono stati eseguiti con l'aiuto di sagome forate. Molti di
questi particolari, come anche alcuni caratteri stilistici quali, ad esempio,
la conformazione del paesaggio, sono tipici di una bottega di tradizione ancora
trecentesca.
Un radicale restauro
consistente in una pulitura generale, nella riparazione dei danni causati
dall'umidità, nel completamento di parti mancanti e in alcuni ritocchi, venne
eseguito nel 1923 da E. DILLENA (della ditta CHRISTIAN SCHMIDT, Zurigo). Il
grande vuoto sul lato destro, risultante dallo spostamento del pulpito, venne
dipinto nuovamente: a modello per le raffigurazioni dei Mesi mancanti servì il
ciclo di Montecarasso (Bellinzona).
L'incorniciatura.
Le molteplici
raffigurazioni sono inquadrate in un sistema unitario d'incorniciatura che le
raggruppa in un vasto rettangolo suddiviso in tre registri. Sottili cornici di
listelli leggermente prospettiche, racchiudono ulteriori inquadrature poste
decorativamente sullo sfondo delle singole scene: i fregi traforati e la fascia
verde si alternano evidenziando l'importanza dei contenuti. I campi pittorici
hanno dimensioni diverse, determinate dai rispettivi soggetti; regolari sono
solamente i quadri della zona inferiore. Si riscontra una sequenza narrativa a
fasce mentre la profondità spaziale dei dipinti è minima. Anche le altezze dei
tre registri variano secondo un rapporto «architettonico».
Il programma iconografico si svolge su tre diversi
ordini. In quello di base sono rappresentate le attività dei contadini e dei
nobili sotto forma di scenette legate ai mesi dell'anno. Il registro centrale
narra dei santi e delle loro opere; a destra, segue l'Adorazione dei Magi,
tratta dalla storia dell'infanzia di Cristo. Nel registro superiore è
rappresentata la Passione di Cristo ridotta alle sole scene del Trasporto della
Croce e della Crocefissione. La composizione narrativa si rivolge direttamente
ai fedeli di quel tempo e alla loro religiosità. Nelle scene dei mesi
raffiguranti i mestieri, I'approvvigionamento, le malattie, i divertimenti,
potevano facilmente identificarsi nobili, «borghesi» e contadini. Nel registro
mediano appaiono i santi in qualità di intercessori e patroni: ad essi i fedeli
possono rivolgersi per trovare ascolto presso il Regno dei Cieli. In due
comparti, in alto, vengono illustrate le sofferenze di Cristo patite per la
salvezza degli uomini. Osservando le scene dall'alto verso il basso, s'intuisce
la solidarietà di Cristo e dei santi nei confronti dell'uomo e della sua vita
quotidiana; viceversa costui, muovendosi dal basso verso l'alto si trova
inserito nel processo di salvazione attraverso le sue occupazioni (il lavoro è
inteso come opera che conduce alla salvezza).
La fascia di base: il ciclo lo dei Mesi
Gennaio: un uomo, seduto su una seggiola a
braccioli. si riscalda al fuoco del camino. Al di sopra, stanno appesi
prosciutti, ciambelle o salsicce: dietro di lui, un catasta di legna.
Riscaldarsi e mangiar bene sono temi antichi legati al mese di gennaio.
Febbraio: un giovane inginocchiato ed appoggiato ad un
tronco appuntisce con un'ascia un palo. Ai lati si trovano ammucchiati dei pali
già lavorati. La lavorazione di questi ultimi come sostegno per le viti si
trova spesso nei cicli pittorici italiani.
Marzo: un giovane in posizione eretta e frontale con una
veste corta e le braccia alzate suona due corni ricurvi simmetricamente Suonare
il corno è un tema primaverile amato e ricorrente in Italia; la capigliatura
mossa suggerisce i venti di marzo e le bufere dell'equinozio. A sinistra,
l'immagine simbolica di un seme germogliato. In luogo di un tipico mestiere
appare qui un'antica personificazione del mese.
Aprile: un giovane in costume festivo di corte
(maniche a sbuffo, mantello verde, scarpe a becco d'anatra e ricca
imbrigliatura) avanza su un cavallo bianco mostrando un ramo fiorito: è il
messaggero della primavera, la personificazione della stagione più bella; i
fiori sono un antico simbolo della bellezza giovanile.
Maggio: un brioso cavallo bruno trasporta una giovane
coppia di cavalieri. L'uomo tiene nella mano sinistra un falco da caccia; la
sua capigliatura è artisticamente intrecciata ad una corona Dietro di lui,
siede la dama con una lunga veste. Sulla destra, un cane da caccia. La coppia
personifica il mese dell'amore.
Giugno: un giovane contadino falcia l'erba
(fienagione); l'espressione del suo volto è attenta i capelli sono corti;
indossa una veste da lavoro con cintura ed ha i piedi scalzi. Con questa scena
si riprende il ciclo delle attività rurali legate ai mesi.
Luglio: un mietitore, visto di profilo e chino in
avanti, taglia con una falce un fascio di spighe mature Si osservi
l'espressione concentrata del volto, il vestito alla moda e il cappello di
paglia a larghe falde. Con la raccolta del grano l'annata si presenta al
culmine della sua fecondità.
Agosto: un malato vestito di rosso, appoggiato ad una
stampella si dirige verso un armadietto di medicinali. Ha il capo fasciato. Sui
ripiani si trovano diverse bottigliette di medicine. La rappresentazione
piuttosto rara, riferentesi a tipiche malattie ed epidemie estive del sud,
interrompe nuovamente il ciclo dei mestieri.
Settembre: un bottaio con grembiule e
berretto cerchia una botte battendo con un martello di legno un cuneo nel
cerchio di mezzo. Questa scena, legata alla vendemmia« è la tradizionale
rappresentazione del mese di settembre.
Ottobre: due contadini sono intenti alla raccolta
delle castagne. L'uomo con una veste logora percuote con un bastone le castagne
dall'albero: la donna, dalla lunga veste con cappuccio, si china a raccogliere
i frutti in un cesto. Questo soggetto è raro. In luogo dell'ingrassamento del
maiale sotto la quercia, è stata scelta la scena del raccolto delle castagne
legata alle attività del luogo (ai poveri, a fine mese, era permesso
raccogliere liberamente le castagne). Parimenti colpisce l'espressione tormentata
del contadino dai tratti caratteristici e il gozzo.
Novembre: è una replica del ciclo dei mesi di
Montecarasso (1923). La macellazione del maiale è una rappresentazione tipica
del mese di novembre.
Dicembre: è una replica come quella precedente. La
macellazione del bue è un soggetto rarissimo a sud delle Alpi.
I
Il ciclo dei Mesi
ha una grande
tradizione nell'antichità classica e nella decorazione delle cattedrali. Nel
primo caso si tratta di rappresentazioni astronomiche e di segni zodiacali: nel
secondo si riscontrano cicli rappresentanti attività profane (in Italia a
Brescia, Verona Cremona Ferrara, Parma, Modena), in cui i soggetti riflettono
sempre più schemi fissi. Nei codici miniati gotici a partire dal 1400, le
rappresentazioni di scene di vita contadina e cavalleresca godono di vasta
diffusione come immagini da calendario. Il realismo, come si è sviluppato nelle
miniature lombarde all'inizio del sec. XV, trova nelle scene dei Mesi un
soggetto particolarmente adatto. Esso viene scelto non di rado negli affreschi
delle valli a sud delle Alpi, ad esempio nei cicli paralleli del Canton Ticino
(Campione, Montecarasso, Ronco, Palagnedra) e nelle località limitrofe italiane
(Maccagno, Piona, Casatenovo Brianza) Nei proverbi contadini per molto tempo si
mantennero analoghi simboli.
La fascia decorativa di mezzo
presenta in quattro
riquadri disuguali due santi-cavalieri in azione, un gruppo di sei santi e
l'Adorazione dei Magi. Questi soggetti sono in relazione con i feudatari del
castello e alcuni patroni.
Nella lotta di San Giorgio
col drago il giovane
cavaliere trafigge con la sua lancia il capo del mostro di Gilena che è disteso
sotto il cavallo bianco e libera con ciò la principessa che trattiene al
guinzaglio il drago per trascinarlo via (Legenda Aurea). Il cavaliere indossa
una preziosa armatura di parata dell'epoca (giubba crociata, ginocchielli
decorativi, sulle spalle nastri mossi dal vento, nella sinistra uno scudo
crociato, capigliatura ondulata color biondo-oro). Il cavallo pomellato ha
briglie preziose. Il drago, un animale fantastico alato, con il collo ritorto e
le fauci aperte giace disteso sul dorso. La principessa indossa una lunga veste
dell'epoca dalla vita alta e dalle maniche decorate di pelliccia e porta una
corona a punte ornate di fiori. La scena si svolge in un arido paesaggio
montano a terrazze. Grazie alle sue opere s. Giorgio è il santo-cavaliere per
eccellenza.
S. Martino a cavallo
taglia in due con la
spada il mantello per dividerlo con il mendicante (Legenda Aurea). Il santo
indossa la veste sontuosa e riccamente colorata di un cortigiano del
Quattrocento e porta un'adeguata capigliatura. Il cavallo bianco dalla ricca
imbrigliatura china il capo in avanti verso il mendicante (calvo) che copre la
sua nudità. L'insegnamento contenuto nella rappresentazione consistente in un
invito a simili opere di misericordia è espresso dall'iscrizione: «Martinus
clamidem cum paupere didiavit ut faciemus iddem nobis essemploficavit». S.
Martino, patrono della diocesi di Coira, protegge cavalieri, soldati,
mendicanti e commercianti di tessuti.
I sei santi, a grandezza quasi naturale,
si presentano frontalmente. nell'atto di benedire e mostrando gli attributi che
li caratterizzano.
L'arcangelo Michele
un altro
santo-cavaliere, raffigurato alato, appare come uccisore di draghi e
parallelamente come giudice di anime. Egli è inoltre adorato come angelo
custode e come «praepositus Paradisi» nel Giudizio Universale. Si osservi
l'armatura con giubba decorata. Ai suoi piedi, il demonio nelle sembianze di un
drago bicipite, che cerca di influenzare il giudizio delle anime a favore del
male. È colpito da una lancia a croce senza che vi sia lotta.
S. Bernardino da Siena,
canonizzato nel
1450, in veste monacale, con espressione ascetica, presenta con la mano destra
il monogramma di Cristo nell'orifiamma e con la sinistra un antifonario aperto
con l'iscrizione: «pater manifestavi nomen tuum hominibus». Ai suoi piedi, tre
mitre, simboli delle tre cariche di vescovo di Siena, Ferrara, Urbino, da lui
rifiutate. È patrono dell'omonimo passo alpino. All'epoca era particolarmente
popolare al sud.
S. Stefano protomartire,
raffigurato nella
ricca veste di diacono con un ramoscello di palma e un libro, è caratterizzato
dalle pietre sul capo sanguinante simbolo del suo martirio. Era amato per le
sue doti di guaritore.
S. Antonio Abate.
in veste monacale, è
rappresentato nell'atto di benedire. Il bastone pastorale con campanella e il
minuscolo cinghiale sono i suoi abituali attributi. È il santo protettore di
molte malattie di uomini e animali.
S. Pietro Apostolo,
in veste papale e
con le chiavi del Paradiso, è rappresentato anch'egli benedicente. È popolare
per le sue doti di guaritore e come patrono della Chiesa e portiere del
Paradiso.
S. Lucia,
indossa una lunga
veste laica e sostiene gli occhi che le furono tolti e lo strumento del
martirio. È la protettrice delle malattie degli occhi.
Con l'Adorazione dei Magi inizia la storia della vita di Cristo:
a questa unica scena
della sua infanzia segue nella fascia superiore un'intera sequenza dedicata
alla Passione. L'Epifania rappresenta il riconoscimento del vero Re da parte
dei sovrani di questo mondo. Presso tale rappresentazione doveva trovarsi un
tempo l'altare dei Re Magi. La composizione è divisa in tre parti (di cui la
terza, a destra, è parzialmente del 1923). Sulla sinistra, il Redentore ignudo
in grembo a Maria, rigidamente seduta, benedice e riceve l'omaggio del decano
dei tre re che gli bacia il piede e si toglie la corona in segno di
sottomissione; il suo dono, una coppa d'oro dentro ad uno scrigno, è tenuto da
s. Giuseppe, seduto a sinistra e rappresentato con l'aureola. Un umile capanna
con tetto di paglia e pareti di vimini, nella quale si trovano il bue e
l'asinello, ospita il gruppo adorante. All'esterno si avvicinano gli altri due
re che procedono in ordine di età vestiti in modo molto appariscente (mantello
corto da viaggio riccamente decorato con pelliccia, capigliatura ondulata, corone
dentellate e, insolitamente aureole a raggiera), in contrasto con
l'abbigliamento sobrio del più anziano; il primo indica la cometa e porta in
dono un ciborio: il più giovane si toglie la corona e porge un boccale con
coperchio. Sulla destra si nota un seguito di tre cavalli (un cammello?) e tre
scudieri. La composizione della scena corrisponde al genere gotico francese, a
quel tempo già largamente diffuso.
Fascia superiore: le scene della Passione di Cristo
Nel primo lungo
riquadro. l'imputazione davanti a Pilato si trasforma in un susseguirsi di
sequenze narrative fino al trasporto della croce, mentre nella scena
successiva, la Crocefissione ha una frontalità simmetrica e rappresentativa Una
lunga parte della Passione viene pertanto riassunta in due scene nelle quali
Cristo compare solo una volta. Mancano le scene dell'imputazione,
dell'interrogatorio, di Pilato che si lava le mani, della flagellazione,
dell'incoronazione di spine e della derisione Nell'aperto e goticheggiante
atrio del pretorio siede Pilato su una gotica sedia da giudice in
colloquio con un rappresentante dell'accusa (sacerdote ebreo?); entrambi
vestono sfarzosi costumi del tempo. Alla loro destra fungono da gruppo di
collegamento un mendicante, un moro armato e un guerriero, rivolto all'indietro,
con cotta di maglia di ferro, mazza ferrata e corona a raggiera. Segue il
gruppo dolente delle Marie con Giovanni e
Veronica: dapprima Maria Maddalena, rappresentata in un gesto di dolore,
poi Maria Cleofe e Maria Salomè, nell'atto di sorreggere la madre di Cristo che
ha le mani congiunte e riceve il conforto di Giovanni che le si rivolge; infine
Veronica mostra frontalmente il sudario con il volto di Cristo (senza corona di
spine). Questo, che trasporta la croce, procede solo tra due gruppi compatti di
guerrieri. Con ambedue le mani egli regge sulle spalle la grossa croce che
appare priva di peso e, rassegnato al suo destino, volge lo sguardo ai fedeli
accomunandoli nella sua sofferenza. Il peso della croce viene sopportato anche
da Simone di Cirene che appare come un nano deforme con una mantella sfrangiata
e la fronte bendata. Al gruppo dei soldati che lo precede Cristo è collegato da
una fune legata al collo per mezzo della quale egli viene trascinato in avanti.
Il caporione che precede il gruppo sostiene una spada e uno stendardo con
l'insegna romana «SPQR„ e indossa un'armatura di tipo milanese (cappello di
ferro, ginocchielli e cubitiere, fibbie, corazza). Della stessa epoca e tipici
dell'Italia settentrionale sono l'armatura, lo scudo ornato da una testa di
moro e le armi dei soldati: cotta di maglia, elmi a calotta o dalle fantasiose
forme a punta, giubbe variopinte, calzature a becco d'anatra, complessivamente
corrispondenti all'equipaggiamento della fanteria della metà del sec. XV. Il
corteo è particolarmente lungo e ritmicamente scandito: non vi si trovano atti
di maltrattamento.
Nella Crocefissione domina la figura di Cristo
morto, affiancato dal buon ladrone a sinistra e dal cattivo a destra, fra
questi si trova il gruppo delle pie donne con Maria svenuta e Giovanni. Cristo
è fissato alla croce con tre chiodi, ma non si incurva molto (braccia e corpo
seguono strettamente gli assi della croce), cosicché la compostezza ha il
sopravvento sulla drammaticità della sofferenza. Egli porta un grande perizoma
ed ha un'anatomia pronunciata ma schematizzata. Due angeli raccolgono in calici
il sangue delle ferite del costato e delle mani di Cristo. Ai piedi della
croce, sotto il Redentore (nuovo Adamo), giacciono il teschio e le ossa del
primo uomo (peccato originale e redenzione: la morte di Cristo come espiazione
del peccato). Il buon ladrone è legato alla sua croce con corde ed ha le gambe
spezzate; un angelo prenderà in consegna la sua anima. Il cattivo ladrone è
rappresentato in modo insolito, visto di schiena, con un profilo sgraziato: un
diavolo viene a prendere la sua anima sotto forma di figura umana. Maria è
caduta ai piedi della croce, priva di forze, e viene retta da tre pie donne
sedute. Accanto alla croce è inginocchiato Giovanni che esprime pregando il suo
dolore (anche questo è un motivo singolare). Il paesaggio corrisponde a quello
della scena di s. Giorgio. Nel complesso la rappresentazione segue il tipo
ridotto di Crocefissione diffuso alla metà del Quattrocento nell'Italia
settentrionale.
Affreschi sulla parete meridionale
1. La Trinità, Maria e S. Antonio.
Scoperto e
restaurato nel 1923, è ora molto danneggiato e presenta numerose lacune. La
larghezza complessiva è di m 2,70, l'altezza di m 1,90. L'incorniciatura è
simile a quelle della parete settentrionale. Nel mezzo domina la Trinità: Dio Padre, in trono, sostiene
il Figlio crocefisso, rappresentato in scala minore; manca la colomba dello
Spirito Santo. Il sacrificio di Cristo, attraverso il Padre che indica il
Figlio agli uomini, viene interpretato quale mezzo di espiazione per la loro
redenzione.
A sinistra,
altrettanto ieratica e in posizione frontale siede su un alto trono Maria con Gesù Bambino che le rivolge teneramente lo sguardo;
l'orlo del mantello è riccamente ondulato. A destra si trova, in una cornice,
s. Antonio (simile a quello sulla parete
settentrionale). Sul piedistallo del trono di Maria, l'iscrizione del donatore in
lettere gotiche minuscole: «venerabilis et egregius dns p(re)sbiter
/iulianus.de mala (grida) fecit fieri figuram / beate virginis (s. antonii) et
beate ternitatis». Giuliano de Malagrida è tramandato come parroco di Mesocco
nel 1449 e del 1469 quale prevosto di San Vittore. Il dipinto appartiene alla
stessa bottega di quelli della parete nord (SEREGNESI); il suo stile può essere
definito di transizione tra quest'ultima e la bottega di ANTONIO DA TRADATE .
2. Ultima Cena.
Frammento,
originariamente lungo m 6 (il dipinto è stato per due terzi distrutto
dall'altare della Croce degli inizi del sec. XVIII); scoperto nel 1923, è molto
danneggiato. Sono conservati cinque Apostoli seduti alla mensa eucaristica con
nobili e pacati gesti. Giovanni è appoggiato al petto di Cristo (come nella
Cena del Luini a Lugano e non secondo il modello di Leonardo da Vinci a
Milano). L'espressione del volto e il colorito sono di epoca tardo-manieristica
( 1570-80 ca.).
Affresco sulla facciata principale.
S. Cristoforo
L'immagine colossale
del santo, protettore da morte improvvisa, incidenti e pericoli, soccorritore
di pellegrini e viandanti, qui rivolto verso il castello, appare in una
posizione ieratica e rigidamente frontale. La gigantesca figura ha le gambe
immerse in acque dalle rive rocciose ed è appoggiata con entrambe le mani ad un
bastone di palma; indossa una veste corta secondo la moda del tempo e un
mantello. Sulla spalla sinistra, aggrappato ai suoi capelli, siede un minuscolo
Gesù Bambino che il Santo, secondo la leggenda, porta oltre il fiume. Sui suoi
piedi sono disegnate croci. Il dipinto ricalca l'iconografia tradizionale di s.
Cristoforo (costume signorile, frontalità simbolica), ma in esso è
rappresentato, vivacemente seduto sulle spalle del santo, il Bambino Gesù (in
questo particolare viene ripreso un modello più recente introdotto a partire
dal primo Trecento). Stilisticamente, anche nell'esecuzione
dell'incorniciatura, è da attribuirsi ai Seregnesi (1469 ca.), come gli
affreschi dell'interno.
Datazione e bottega.
La presenza di s.
Bernardino da Siena rimanda ad una data posteriore alla sua canonizzazione,
avvenuta nel 1450. È possibile che i dipinti siano in rapporto con la
riconsacrazione della chiesa, avvenuta dopo i lavori del 1459. I «modernissimi»
particolari di corazze e armature rimandano agli anni '50 e '60 del sec. XV
mentre gli abiti appaiono piuttosto superati. La più antica iscrizione di
visitatori, tra le numerose incise sull'affresco, porta la data 1469: sembra
che essa sia stata incisa sull'intonaco ancora umido. Perciò il dipinto del
registro inferiore sarebbe stato terminato nel 1469. Probabili committenti dovettero essere soprattutto
i signori de Sacco-Mesocco (Enrico?). Analisi e confronti stilistici portano
alla conclusione che gli affreschi della parete settentrionale, la Trinità di
quella meridionale e s. Cristoforo sulla facciata esterna a ovest sono stati
dipinti dalla bottega di CRISTOFORO e NICOLAO DA SEREGNO (Seregnesi). Questa
bottega a conduzione familiare, originaria di Seregno (tra Como e Milano), si
era stabilità a Lugano e probabilmente anche a Bellinzona per eseguire, Ira il l448 e il 1480 circa, quasi in
forma monopolistica, numerose commissioni grandi e piccole di affreschi nelle
valli a sud delle Alpi. Nella bottega lavorarono per lungo tempo, fianco a
fianco. Cristoforo e Nicolao (fratelli o appartenenti a due diverse
generazioni?) inoltre un «Lombardus de Lugano», e certamente altri aiuti e
allievi. Degli altri cicli, ancora conservati e attribuibili ai Seregnesi,
quelli situati più a sud si trovano a Carona ed Ascona, quelli più a nord a
Disentis e Brigels. Grazie alle firme, sono accertati lavori a Lottigna
(Blenio), Rossura (Leventina). Ascona e Giornico; sulla base di argomentazioni
stilistiche possiamo attribuir loro (senza essere troppo restrittivi) i cicli
di Carona, Locarno (Santa Maria in Selva), Ditto, Curogna, Sant'Antonio,
Ravecchia, Montecarasso, Arbedo, Biasca, Semione, Corzoneso, Prugiasco, Torre,
Disentis e Brigels, e inoltre numerosi altri di seguaci e successori. A Bellinzona,
Lugano e Roveredo sono documentate commissioni per opere purtroppo andate
distrutte. La conduzione della bottega non permette in genere di fare
distinzioni tra i contributi di Cristoforo e quelli di Nicolao. I lavori di
Mesocco appartengono al periodo di questa vasta produzione nella sua fase più
tarda e matura: gli affreschi sulla parete nord possono essere considerati come
il ciclo iconograficamente più coerente e artisticamente più maturo.
Lo stile.
La bottega di
provincia degli artigiani seregnesi anche se riflette con ritardo le conquiste
della pittura lombarda« presenta caratteristiche singolari di interesse
storico-artistico. Il suo stile rivela una tradizione arcaicizzante non comune.
Uno degli elementi più antichi a questo riguardo è costituito dal paesaggio
bizantineggiante di tipo due trecentesco nei dipinti di Mesocco (s. Giorgio, la
Crocefissione). Alla metà del Trecento restano legate le architetture (Pilato,
Adorazione dei Magi), alcuni soggetti iconografici (per es. il Trasporto della
Croce, s. Cristoforo) e la rigida disposizione dei santi visti frontalmente. La
matrice dello stile dei pittori seregnesi è costituita peraltro dal «gotico
internazionale»; questo fiorì in
Lombardia nella prima meta del sec. XV con l'inizio della costruzione del Duomo
di Milano. Si trattava naturalmente non dell'irrazionale, elegante arte di
corte diffusa intorno al 1400, ma piuttosto della sua variante più tarda e
popolaresca. Ad esso si ricollegano I'idealizzazione dei numerosi volti
giovanili, la morbidezza delle vestiti, alcune caratteristiche iconografiche
(Crocefissione), la sensibilità per le composizioni ritmate e per gli effetti
decorativi. Mentre i costumi mondani traggono ispirazione dalla moda delle
corti dell'inizio del Quattrocento, corazze e armi risalgono piuttosto agli
anni intorno al 1450-60. Negli irrigidimenti del disegno si codifica un
repertorio tardogotico. Solo marginalmente ad esempio nei dipinti dei cavalieri
dall'aspetto saldo e vigoroso, sembrano annunciarsi elementi prerinascimentali.
Dei grandi maestri moderni dell'Italia settentrionale del 1460-70, come Bembo e
Foppa, non vi è qui tuttavia influenza alcuna. I pittori seregnesi hanno
insomma sviluppato e mantenuto nelle valli alpine uno stile conserva, eterogeneo, e nello stesso tempo personale, quando
a Milano e Brescia già si era diffuso il primo Rinascimento. Motivi ricorrenti
della bottega sono i volti immobili dagli occhi sbarrati, il panneggio di forma
tubolare, gli schemi fissi per teste, capigliature e anatomie (Crocefissione),
e inoltre il sistema delle incorniciature. Sulla drammaticità del racconto
prevale una rappresentazione serena e decorativa. Nessuna ricerca spaziale ha
il sopravvento sulle sequenze narrative facilmente comprensibili. Questa
«imagerie» popolaresca e in parte devotamente «naïve» costituirà un caposaldo
della pittura tardomedievale lombarda fin nell'ultimo quarto del XV secolo.
Nei quadri dei Mesi
si inseriscono invece elementi naturalistici che si possono considerare
«moderni». I lavori ed i piaceri quotidiani, i volti vivaci ed attenti, i gesti
e i costumi dei vari mestieri, gli arnesi e le rappresentazioni della natura
vengono disegnati tutti con realismo e precisione documentaria. In questo caso
ha grande influenza la miniatura milanese di indirizzo scientifico (Taccuina
Sanitatis, studi di zoologia e botanica). È per il momento difficile stabilire
se i Seregnesi fossero a conoscenza di queste rappresentazioni (motivi
pittorici comparabili, specialmente nel registro superiore farebbero pensare a
questa eventualità), oppure se qui abbiano dato il loro contributo altri
artisti. Un caso analogo è quello della Madonna dell'Adorazione, notevole per
dignità, purezza formale e idealizzazione. Pertanto è da supporre che alla
realizzazione dell'affresco gotico della parete meridionale abbia preso parte
un giovane pittore che stilisticamente preannuncia la maniera di Antonio da
Tradate.